Ci sono artisti che dopo i quarant'anni gettano la spugna: io sto vivendo una seconda giovinezza.

Un viaggio trà mestieri antichi e tradizioni,in Galleria Centro commerciale Porte di Sassari

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  Quando compri qualcosa da un artigiano non compri un semplice oggetto,

  compri centinaia di ore, di esperimenti, fallimenti e prove,

  compri giorni, settimane e mesi di frustrazioni momenti di pura gioia.

   Non stai comprando un oggetto, ma un momento della vita di qualcun altro,

   compri dall'artigiano il tempo impiegato per fare quello che è la sua passione e il tuo piacere.

pino marittimo
legno d'acacia
legno d'acacia
Nuova collezione 2023

Gavino Ruggiu nasce ad Ozieri nel 1964. Fin da ragazzo ha coltivato una grande passione per la lavorazione del
legno, da cui ha imparato, nel tempo, a conoscere e ad apprezzare tutte le sue più
nascoste peculiarità. Più forte è il vento dove cresce l’albero e più forte e resistente è
il suo legno e questo Gavino lo sa. Con ostinata perseveranza e mano ferma e
paziente, ha saputo fare di questa passione un’arte. Fra le varie tipologie di legno,
Gavino predilige il ginepro, il cipresso e l’ulivo per le loro proprietà di durezza,
compattezza e resistenza. Quando Gavino lavora il legno è completamente immerso nel suo profumo e le sue maschere, che non sono da indossare ma da esporre con
orgoglio, rappresentano l’essenza stessa di una terra antica,la Sardegna, di cui riesce a trasmettere tutta la sua storia e
la sua naturale bellezza. Le maschere rappresentano il rito dell’aggiogamento del bestiame da
parte del pastore e la lotta perenne dell’uomo contro la natura, mentre il legno che le incarna
ci comunica tutto il suo calore, la gentilezza e la sua incredibile naturalezza.

Nuovo banco da lavoro ;-))
Il maestro Niedda

"Preferisco essere un sognatore fra i più umili, immaginando quel che avverrà, piuttosto che essere signore fra coloro che non hanno sogni e desideri."
-Kahlil Gibran.

La Sardegna è la regione italiana più ricca di tradizioni e usanze popolari e folcloristiche, nella zona interna più precisamente a Mamojada, in pieno centro della Barbagia di Ollolai, si conserva l'antichissima tradizione dei "mamuthones" e degli "issohadores" uno dei rituali più arcaici, risalenti secondo alcuni studiosi, ad epoca nuragica o prenuragica. I Mamuthones col loro abbigliamento e comportamento svolgono in forma teatrale il loro rituale, che eseguono danzando, imprimendo e trascinando i la gente in una grottesca ed affascinante frenesia. Gli Issohadores hanno altri compiti, sono più signorili quasi moderni, hanno la funzione di protezione e di controllo, quasi a delimitare un recinto nel corteo, sono certamente le figure che hanno subito più di altri le trasformazioni del vestiario, accumulando e assorbendo le modifiche dei costumi. Durante l'esibizione i Mamuthones, sono mediamente dodici, come i dodici mesi dell'anno, si schierano in fila per sei, mentre il numero degli Issohadores è di otto ma può essere superiore La storia dei Mamuthones, e cosparsa da varie ipotesi dagli, tra le più accreditate è quella che accosta l’uomo all’animale, l'abbinamento uomo-animale è determinato anche dal vestire "sas peddhes" mastruca e dai campanacci "sa carriga" di varia misura, (da pecora e da bue) e dal modo in cui vengono eseguiti i movimenti. 

 

Uso del cipresso

Se intendiamo confinare il cipresso all’interno di un diffuso, ma troppo semplice, ambito immaginario cimiteriale compiamo un grave errore. Il nostro stile di vita oggi non si rapporta più in modo continuo con concetti quali la morte e l’immortalità dell’anima, assai più centrali nella concezione del mondo nelle antiche civiltà. Per questa ragione non ritroviamo immediatamente un patrimonio ricco di spunti e di richiami come può succedere per altre piante. Eppure la letteratura dell’antichità è ricca di citazioni che riguardano il cipresso.

Quando si parla di legni pregiati, di essenze particolarmente dure e durevoli citiamo troppo spesso alberi esotici dimenticando che anche fra i nostri annoveriamo esempi mirabili.

Il cipresso è fra questi.

Così durevole, così incorruttibile, così affidabile che il Signore stesso ordinò a Noè nel Libro della Genesi: “Fatti un’arca di legno di cipresso”.

All’olivo spettò l’onore di annunciare il ritiro delle acque ed il ritorno della vita sulla terra, ma il compito di salvare quella vita fu affidato soltanto al cipresso. Nessuno fra gli altri legni fu considerato all’altezza di superare una prova così ardua.

“Invece di spine cresceranno cipressi” annunciavano i profeti.

Il nostro cipresso è un figlio adottivo

Anche il cipresso, come molti altri alberi, arriva dall’oriente. Originario dell’Asia ha progressivamente esteso il suo areale di espansione verso l’Europa orientale ed il bacino del Mediterraneo divenendo albero pienamente adattato, parte integrale del paesaggio e della cultura dei popoli che attorno gravitavano e gravitano tutt’oggi. Cresce spontaneo nel nord dell’Iran, nell’Afganistan, nell’India settentrionale ed anche in Cina.

La Toscana come Delfi non sono pensabili senza i loro cipressi che da lontano si stagliano contro il cielo e contribuiscono a rendere uniche certe atmosfere.

Il nome latino “cupressus” deriva dal greco “cuparissos”, ma questo termine è preellenico e più precisamente cretese. Greci e romani pensavano che il cipresso fosse originario di quest’isola per via degli splendidi esemplari che ornano le pendici del monte Ida.

Un legno pregiato, ma poco conosciuto

Il legno di cipresso è caratterizzato da un colore giallognolo bruniccio con durame bruno più scuro ed a contorno irregolare. Privo di canali resiniferi, ha un forte profumo conferitogli dagli oli eterei contenuti che si trovano nella resina confinata nello strato della corteccia.

Presenta una tessitura molto fine con fibratura poco regolare per l’accentuata e grossa nodosità.

Il maggior pregio è la durabilità ottima anche in ambienti umidi o all’esterno.

Indicato per infissi esterni, per costruzioni navali, per lavori di artigianato, e per mobili destinati a conservare per lunghi periodi abiti e tessuti da corredo per la capacità di allontanare insetti e parassiti. In oriente ha un uso specifico per i soffitti delle case e per la componente di legno delle campane eoliche così diffuse in Giappone.

La coltivazione del cipresso

Il consumo nazionale di legno di cipresso è coperto dalla produzione nazionale. I tronchi di cipresso, la crescita è spesso lenta, sono commercializzati anche a diametro ridotto. E’ coltivato in filari, boschetti e qualche bosco concentrati per la maggior parte nelle provincie di Firenze e Prato.

La coltivazione permette di sfruttare, investire e valorizzare terreni scadenti e calcarei.

L’unica avvertenza è il freddo eccessivo che miete spesso molte vittime.

Il cipresso dell’Arizona è più resistente alle basse temperature, ma fornisce un legno meno pregiato.

Il cipresso è utile come pianta pioniera nei terreni privi di humus, come frangivento e, in passato, ma ancor oggi come riferimento, come termine di confine.

Segnava gli incroci delle strade, fiancheggiava i viali d’ingresso di abitazioni di rilievo, ai lati della casa, più semplicemente, era augurio di una lunga vita.

L’uso nell’antichità

Nei tempi passati il legno di cipresso aveva usi specifici sempre ricollegabili sia alle sue caratteristiche di grande durabilità sia al suo valore simbolico di pianta immortale legata tanto alla vita come alla morte. Le porte dei templi, le statue lignee, i sarcofagi e le bare di personaggi importanti presso gli antichi; gli strumenti musicali come i clavicembali in tempi più recenti.

Oltre all’Arca di Noè erano di legno di cipresso la flotta del grande Alessandro e le navi di Nemi.

La freccia dell’arco di Eros, lo scettro di Zeus e la clava di Ercole completano, fra mito e realtà, l’elenco degli impieghi possibili.

Cipresso simbolo di vita

In tutte le culture del passato il fuoco è sempre stato associato alla luce e quindi alla vita, all’essenza dell’immortalità e questo aspetto può essere ravvisato in molte delle prime divinità e personificazioni maschili degli antichi pantheon. I persiani, adoratori del fuoco, ritenevano il cipresso pianta sacra da coltivare in prossimità dei templi: la sua forma slanciata ricordava, infatti, la fiamma. Primo albero del paradiso: lo chiamavano.

Proprio la forma del cipresso lo ricollega al valore della vita, ma, in altre culture, per ragioni diverse. Per gli antichi romani la sua forma vagamente fallica lo indicava quale simbolo di fertilità. Era usanza porre a guardia delle terre coltivate, campi, giardini, vigne, statue di Priapo intagliate nel legno di cipresso.

Per la stessa ragione si piantava, in forma augurale, un cipresso per ogni figlia femmina nata.

Il poeta Catullo, famoso per le sue liriche amorose, annovera il cipresso fra gli alberi che gli sposi erano soliti ricevere in dono a conferma del suo valore simbolico riconducibile al perpetuarsi della vita.

Nella tradizione novellistica dell’area mediorientale era simbolo dell’amante che si accompagnava e contrapponeva per la figura femminile alla rosa. Questa valenza, del tutto perduta in occidente, si è mantenuta viva in oriente dove il valore simbolico delle piante fa ancora parte della cultura comune.

Come sempreverde era considerato simbolo di vita, ma più ancora lo era per l’estrema longevità. Raggiunge e supera i cinquecento anni e fonti documentate testimoniano di esemplari millenari. Nel nord Africa esemplari di Cupressus duprezania raggiungerebbero, secondo attuali valutazioni, la rispettabile età di 4.000 anni.

Cipresso simbolo di morte

La valenza simbolica del cipresso ha radici antichissime, più recente è l’associazione con il simbolismo funerario. Tutto parte con i poeti Latini che ripresero il mito greco che fino a quel momento era rimasto letteratura soltanto.

Ovidio, acrobata della parola e finissimo poeta, nelle sue “Metamorfosi” narra di Ciparisso e del suo fantastico cervo dalle corna d’oro. Un gioco crudele del destino, come il mito greco spesso ci ha insegnato, pose fine a quell’amicizia. Un giavellotto lanciato per gioco trafisse il cervo che sdraiato nell’erba alta era nascosto alla vista.

Deciso a morire per seguire il compagno di una vita fatta di giochi, Ciparisso eluse l’intervento di Apollo accorso a consolarlo e, come aveva chiesto, fu trasformato in un cipresso a simboleggiare un lutto eterno.

Attraverso altri miti (la metamorfosi delle figlie di Etocle) e altri usi (secondo Terenzio Varrone i rami erano impiegati nella cremazione), attraverso i versi di altri poeti (Virgilio che lo considerava un albero cupo) e l’interpretazione di epoche successive (il Marino lo usò come monito contro un eccessivo amore delle cose terrene), giungiamo a quella che resta la più sentita riflessione sulla morte in cui il cipresso compare.

Lo ricorderemo in molti per averlo studiato sui banchi di scuola, forse più soffrendolo che apprezzandolo, l’irrequieto Foscolo e i suoi Sepolcri: All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne confortate di pianto è forse il sonno della morte men duro? 

Le leggende di San Francesco         

Due sono le leggende che legano il cipresso al più popolare dei santi italiani. San Francesco nell’anno 1213, vicino Forlì, accortosi che uno dei pezzi di legno del fuoco di bivacco non bruciava lo allontanò dal braciere e lo mise sottoterra con le parole “Se proprio non vuoi bruciare, ritorna a vivere.” Da quel tronchetto nacque il cipresso che ancor oggi si trova presso il convento di Santa Croce.

Due anni più tardi, secondo un’altra leggenda, il santo fondò il convento di Villa Verrucchio attorno ad un ramo di cipresso piantato al centro del futuro chiostro. Il ramo che avrebbe radicato, e vive ancora dopo quasi quattrocento anni, era stato un dono di commiato a Francesco dalla famiglia Leonardi.

L’uso delle galbule

La fortuna del cipresso come pianta medicamentosa è antichissima. Le prime tracce si ritrovano in un testo assiro databile intorno a 3500 anni fa, ma fu la diffusione dei testi di Dioscoride che ne trattavano ampiamente a rilanciare il suo impiego dal medioevo in poi.

La parte impiegata sono i frutti, quelle che potremmo chiamare le pigne del cipresso, meglio dette galbule. I principi attivi contenuti sono attivi sulle stasi venose e nelle tossi spasmodiche con dispnea.

Molto più semplicemente potete impiegare i rametti di cipresso carichi di galbule per splendide decorazioni natalizie. Il riflesso argentato consente di non ricorrere a colorazioni aggiuntive e creano un contrasto assai riuscito con elemento di verde più deciso come quello dell’abete. Una volta fissati con ferretti verdi da fioraio basterà aggiungere un bel fiocco e qualche pigna raccolta al momento opportuno, perfette quelle del pino strobo, un rametto con i rossi cinorrodi della rosa canina, o le bacche tolte alla siepe di piracanta, per riuscire a confezionare un mazzo augurale da appendere alla porta o al muro esterno di casa. Con una spesa contenuta e con una non trascurabile soddisfazione personale.

Ottana cortes apertas 2017

Sos Merdùles, ossia gli uomini, i contadini, vestiti con mastruche (pelli bianche o nere) o con vecchi abiti maschili della tradizione locale, con il viso coperto da maschere lignee, dai tratti spesso deformati, forse per raffigurare la fatica del lavoro e della vita nei campi. Procedono lentamente, ricurvi. Tengono con una mano le redini ( sas soccas ) che guidano Sos Boes, uno o più di uno, e con l'altra mano si appoggiano ad una sorta di bastone che usano anche per tenere a bada Sos Boes.

Sos Boes indossano pelli di pecora o abiti vecchi della tradizione locale e portano in spalla una cintola, generalmente di cuoio, da dove pendono dei campanacci.
Sono tenuti dalle redini del Merdùle, il viso coperto da "sas caratzas" (maschere di legno lavorate ad intaglio) con sembianze bovine, con corna più o meno lunghe, con due foglie intagliate lungo gli zigomi ed una stella sulla parte frontale. La stella rappresenta il marchio distintivo di un vecchio artigiano locale.

Sa Filonzana, un uomo travestito che rappresenta una vecchia di cui tutti hanno paura: piegata dall'età, sempre vestita di nero e con il volto nascosto da una maschera lignea, oppure dipinto con la fuliggine che contrasta col bianco di una dentiera ricavata da una patata. Ha fra le mani il fuso, la canocchia e la lana fila e predice un futuro più o meno prospero o infausto, a seconda della qualità del vino che le viene offerto. Oggi ha anche le forbici, come l'antica Parca della vita.

 

Fissare degli obiettivi è il primo passo per trasformare l’invisibile in visibile.
(Anthony Robbins)

La maschera in foto ha la dimensioni 50cm x 50 cm circa,il peso all'origine

prima dello scavo 35/40 kg,finita 6/8 kg circa....Ps: e ancora disponibile

Come raggiungere un obiettivo? Senza fretta ma senza sosta
(Johann Wolfgang Goethe)

La maschera in foto e la parte gemmella di quella sopra

molto più profonda,il peso all'origine circa 60 kg finita non ricordo,

penso sui 15 kg.

non più disponibile
 

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Piccola riflessione.


Ci chiamano "Gli Anziani", la generazione X...
Siamo nati negli anni 60 e 70.
Siamo cresciuti negli anni 70 e 80.
Abbiamo studiato negli anni 70-80.
Uscivamo insieme negli anni 70-80-90.
Ci siamo sposati e abbiamo scoperto il mondo negli anni 70-80-90.
Ci siamo avventurati negli anni 80-90.
Ci siamo stabilizzati negli anni 2000.
Siamo diventati più saggi nel 2010.
E andiamo saldamente oltre il 2020.
Sembra che viviamo diversi decenni
DUE secoli diversi
DUE millenni separati
Siamo passati dal telefono con un operatore di chiamate a lunga distanza a videochiamate in qualsiasi parte del mondo.
Siamo passati dalle diapositive a YouTube, dischi in vinile alla musica online, lettere scritte a mano a e-mail e WhatsApp.
Dalla radio giochi in diretta, alla TV in bianco e nero, alla TV a colori e poi alla TV 3D HD.
Sono andato al negozio di videocassette e ora guardo Netflix.
Abbiamo conosciuto i primi computer, schede perforate, dischetti e ora abbiamo gigabyte e megabyte sui nostri smartphone.
Indossiamo pantaloncini per tutta l'infanzia e poi pantaloni, Oxford, razzi, gusci completi e jeans blu.
Abbiamo evitato la paralisi infantile, la meningite, la polio, la tubercolosi, l'influenza suina e il COVID-19.
Andavamo su pattini, tricicli, biciclette, ciclomotori, auto a benzina o diesel e ora guidiamo ibridi o elettrici.
Sì, ne abbiamo passate tante, ma che vita abbiamo avuto!
Potrebbero descriverci come "esemplari", persone nate in questo mondo degli anni cinquanta, che hanno avuto un'infanzia analoga e adulta digitale.
Abbiamo tipo "Ho visto tutto"!
La nostra generazione ha letteralmente vissuto e assistito più di chiunque altro in tutte le dimensioni della vita.
È la nostra generazione che si è letteralmente adattata al "CAMBIAMENTO. "
Un grande applauso a tutti i membri di una generazione molto speciale, che sarà UNICA! 


 

 

INFO. SU IL CIPRESSO E GINEPRO

Piante simbolo di vita e di morte

Cipresso e ginepro appartengono alla stessa famiglia, quella delle Cupressacee.

L'uno, il cipresso, che cresce in pianura o in collina, è un albero dalla forma tipica a fiamma ed è presente nel nostro paese sin dall'antichità. L'altro, il ginepro, è un arbusto di montagna che produce bacche dall'aroma inconfondibile

Il cipresso, un albero sacro

Il cipresso è un albero molto longevo ‒ può vivere infatti sino a duemila anni ‒ la forma della sua chioma sempreverde ricorda quella di una fiamma e il legno è resistente e profumato. Forse sono state queste caratteristiche a fare del cipresso, Cupressus sempervirens, un simbolo di vita e di morte e a renderlo sacro presso gli antichi popoli del Mediterraneo.

L'albero è originario dei paesi mediterranei orientali, ma nel corso del tempo, per il suo aspetto statuario e per la sua utilità, si è diffuso in tutta l'area sudeuropea. In Italia, per esempio, è un elemento inconfondibile del paesaggio delle nostre regioni centrali, della Toscana in primo luogo. Si trova nei cimiteri, per abbellire i parchi, isolato in campagna a segnalare un bivio o i limiti di un podere, e in file ordinate ai bordi dei viali delle ville o delle antiche case rurali.

Appartiene alla famiglia delle Cupressacee, sottoclasse delle Conifere, il cui tronco si ramifica sin dalla base e la corteccia grigio cenere presenta lunghe fessure verticali. Le foglie sono squamose, ben aderenti all'asse vegetativo, i fiori sono a sessi separati. Quelli maschili formano numerosi rametti isolati, gli amenti, in primavera carichi di polline che il vento trasporta a fecondare i fiori femminili. Questi ultimi sono pigne lignificate, gli strobili, di forma globosa, che danno origine al frutto, la galbula, contenente semi piccoli e rossicci.

Il cipresso esiste in due varietà: una è la varietà horizontalis , detta comunemente cipresso femmina, dalla chioma irregolare e piuttosto aperta; l'altra, la pyramidalis, è nota come cipresso maschio; dalla chioma affusolata e aderente al fusto, ed è la forma preferita nella coltivazione. Il legno di quest'albero viene usato per fare cassapanche e armadi, perché profumato e tarmicida.

L'irsuto ginepro

Alle nostre latitudini si trova lo Juniperus communis, che appartiene, come il cipresso, alla famiglia delle Cupressacee, sottoclasse Conifere. Cresce nei boschi di media altitudine, si trova oltre i 2.000 m sulle Alpi ma anche nella zona polare, con la sottospecie nana, dall'andamento prostrato e strisciante.

I suoi arbusti, alti da 1 a 2 m, danno il nome, in senso figurato, a situazioni difficili e intricate: "È un bel ginepraio!" si dice per indicare qualcosa di molto complicato e astruso. In effetti il ginepro forma fitti cespugli contorti e spinosi, "dall'aspetto privo di grazia" come scrisse il naturalista latino Plinio, dalle brevi foglie aghiformi disposte a verticilli ternati, cioè tre a tre.

Il ginepro è una pianta a sessi separati: esiste il ginepro femmina che porta il fiore femminile, una piccola pigna dalle foglie squamose, e il ginepro maschio con i fiori che portano il polline. I frutti, galbule carnose dette coccole, una volte maturati diventano di colore bluastro e assumono un caratteristico profumo aromatico. Il loro odore confonde i cani da caccia che non riescono più a scovare la piccola selvaggina che si mette al riparo nascondendosi tra i rami di questa pianta.

Un tempo le bacche di ginepro venivano polverizzate e mischiate al pepe, allora spezie preziosissima. Oggi le bacche si utilizzano per aromatizzare molte acquaviti di cereali che danno il superalcolico gin, che prende il nome proprio dalla pianta.

Il ginepro nella tradizione

Presso gli antichi Greci il ginepro era sacro alle divinità degli Inferi che si cercava di placare con il profumo particolare sprigionato dalla combustione della pianta.

Secondo un'antica tradizione cristiana, la Sacra Famiglia, durante la fuga in Egitto, trovò scampo dai soldati di Erode rifugiandosi tra i rami di un cespuglio di ginepro.

Fonti medievali riportano che la Croce di Cristo fu fatta con legno di ginepro. Per questo nel passato, la domenica delle Palme rametti della pianta venivano benedetti insieme a quelli dell'olivo e custoditi nelle case come portafortuna.